Intervista
Per entrare più nel vivo di questa ricerca ha sicuramente importanza l’intervista fatta ad una nota Psicologa emiliana, Dott.ssa Maria Angela Pala, Psicologo del Counseling Psicologico presso l’Università degli Studi di Parma, Ex responsabile della Sezione Territoriale Regionale dell’Emilia Romagna della Società Italiana di Psicologia Clinica Forense, specializzanda in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale nonché esperta in audizioni di minori vittime di abuso e maltrattamento.
La dottoressa invitata e rispondere a poche domande sull’argomento fulcro del mio elaborato, si è resa subito disponibile affermando che il campo d’aiuto psicologico è un campo a largo spettro e che un professionista deve supportare le giovani ricerche per rimanere coerente con il proprio valore di aiuto verso il prossimo.
Passiamo ora all’intervista:
- Il cyberbullismo è ormai la nuova forma di bullismo, ma perché alcuni ragazzi diventano cyberbulli?
“Il termine bullismo indica un insieme di comportamenti aggressivi, violenti e intenzionali in cui le azioni prevaricanti vengono agite su soggetti ritenuti più deboli e incapaci di difendersi e che cadono in una condizione di sofferenza psicologica ed emarginazione. E’ caratterizzata da asimmetria, volontà e sistematicità: asimmetria tra bullo e vittima i quali differiscono per forma fisica e controllo della situazione. Il bullo è in genere più grosso e più forte della vittima; volontà da parte del bullo di creare un vero e proprio danno nei confronti della vittima e sistematicità delle azioni che vengono protratte nel tempo. I fattori di rischio del bullismo, cosi come del cyberbullismo, sono individuabili a diversi livelli. Il bullo non agisce mai da solo ma è sempre supportato da altri compagni i quali difficilmente prendono le difese della vittima, spesso per paura di ritorsioni da parte del bullo ma anche perchè la vittima spesso risulta impopolare e quindi avvicinarsi ad un membro del gruppo non popolare fa aumentare il rischio degli altri ragazzi di cadere tra le vittime dello stesso bullo. Il silenzio-assenso da parte del gruppo, quindi, rende leciti i bulli a continuare con i maltrattamenti e spinge altri ad imitarli e a sviluppare degli atteggiamenti simili e a sostenere di conseguenza il bullo. Il bullo ha bisogno di dominio e di potere e ne trae nutrimento sviluppando ostilità verso l’ambiente circostante. Spesso la tendenza del gruppo famiglia è di deresponsabilizzare i propri gesti. La scelta del bullismo elettronico come tecnica di vittimizzazione rispetto al classico bullismo aumenta con il passaggio dalle scuole elementari alle scuole medie e alle superiori, questo perchè i ragazzi hanno accesso, spesso abbastanza libero, ad una serie di mezzi di comunicazione come il cellulare, internet e videocamere. Il bullismo elettronico è caratterizzato da azioni non più solo fisiche, ma anche molestie diffamatorie messe in atto attraverso l’utilizzo di mezzi elettronici come posta elettronica, siti web, messaggistica istantanea, MMS ed SMS e i nuovi social. Nelle famiglie dei bulli lo stile educativo ha la tendenza all’iperprotezione, a relazioni di tipo ansioso o controllante. Spesso ci troviamo di fronte famiglie con uno stile educativo permissivo oppure coercitivo in cui le regole non sono coerenti anzi sono poco strutturate, addirittura in alcuni casi l’aggressività e la violenza sono utilizzate all’interno delle interazioni famigliari. Esistono poi fattori di rischio che riguardano la vittima, come l’eccessiva prudenza, l’insicurezza, l’incapacità di affermare se stessi, bassa autostima e debolezza dal punto di vista fisico e quindi incapacità di difendersi dalle offese ricevute”
- Ci sono nei ragazzi dei segnali comportamentali che possano essere un campanello d’allarme per un genitore?
“Per quanto riguarda i campanelli d’allarme per un genitore, per poter individuare sia un cyberbullo che una vittima di cyberbullismo, possiamo dire che sono aspecifici e spesso sono simili. Il bullo si caratterizza da comportamenti aggressivi utilizzando spesso anche la propria forza fisica. Da comportamenti verbali diretti ad infliggere il danno alla vittima, prendendolo in giro in maniera pesante, danneggiando le sue cose in maniera costante e ripetuta. È facilmente irritabile, non ha imparato a sopportare la frustrazione, e fa fatica a immedesimarsi nell’altro, quindi la capacità empatica è veramente molto bassa e non conosce la compassion. Con gli adulti si comporta spesso in maniera oppositiva o oppositiva-provocatoria. Ha un opinione di sé positiva, dimostra un autostima nella media e utilizza precocemente atti di vandalismo che se non trattati possono sfociare in veri e propri comportamenti anti-sociali. Ricerca l’attenzione di un gruppo con le stesse caratteristiche o seguaci che lo possono assecondare nei suoi comportamenti vandalici è distruttivi. Il rendimento scolastico è alle elementari nella media, ma tende a peggiorare nel tempo fino ad arrivare, in alcuni casi, ad un vero abbandono scolastico. E’ facilmente irritabile e fa fatica a gestire le emozioni negative, quali la rabbia, e l’aggressività e anzi lo ritiene l’unico modo possibile per risolvere tutte le situazioni, sia nelle relazioni extra-scolastiche che scolastiche sia all’interno della famiglia. Per quando riguarda le vittime di bullismo e cyberbullismo hanno dei comportamenti che si avvicinano di più ad un disturbo dell’umore e ad un disturbo d’ansia. Sono persone timide, insicure, passive e non hanno, al contrario del bullo, una stima buona di sé. Gli indici per poter riconoscere una vittoma, che possono essere dei segnali sia per i genitori ma anche per gli insegnanti, sono notare se viene preso in giro costantemente, minacciato e isolato dal resto della classe, se appare indifeso e non è in grado di reagire in maniera efficace, se tende a giustificare i segni di aggressioni fisiche riportate come se fossero accidentali, e se appare molto timido nell’esprimersi di fronte ai compagni e fa fatica a gestire la propria ansia.
La vittima di cyberbullismo rifiuta l’utilizzo di strumenti elettronici per paura di scoprire nuovi post offensivi diretti verso la sua persona. Anche lui come il bullo ha un livello scolastico che peggiora nel tempo. A casa i genitori possono notare la presenza di pochi amici, compagni di classe o coetanei. Spesso comincia a lamentare, già dalle scuole elementari, mal di testa e mal di pancia, che utilizza come strategia di evitamento dell’ansia. Evitare di andare a scuola significa evitare di stare a contatto con l’ansia. Più evita di sperimentarla e più è rinforzato ad evitarla. L’ansia per il ragazzo poco flessibile significa disperazione, dolore e forte sofferenza psicologica. Evita di incontrare i compagni di scuola nel tragitto da scuola a casa, spesso dorme male, quindi in maniera agitata, ha incubi e in periodi di stress molto forti arriva a sviluppare parvor nocturnus. È soggetto a continui sbalzi d’umore ma è tendente alla tristezza e apatia. Anche lui, come il bullo, ha degli scatti di ira e fa fatica a gestire e ad accettare di sperimentare le emozioni negative. Il suo vittimismo si manifesta nell’assecondare le richieste dei bulli, quindi si trova a ricercare oggetti e addirittura a rubare del denaro per poter accontentare le loro richieste. Anche la vittima manifesta dei comportamenti aggressivi ma sono comunque poco efficaci per dominare la situazione di fronte al bullo e al gruppo che lo appoggia”
- Il Blue Whale è una recente forma di cyberbullismo, ma in Italia c’è chi pensa non esista, che sia una leggenda metropolitana, ed addirittura si pensa che “meno se ne parli e meglio è”. Lei pensa che parlarne ed informare adolescenti e genitori/formatori sia una cosa necessaria o da evitare?
“Sono abbastanza scettica nel dare una vera e propria risposta. Mi vengono solo molte domande. È difficile avere una stima del numero di suicidi tra gli adolescenti, ma pare che proprio il suicidio sia la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali fra i giovani di età compresa tra i 15 e 29 anni e secondo l’Istat si parla addirittura di 500 casi nell’ultimo anno, questa frequenza potrebbe essere addirittura sottostimata rispetto al vero e proprio fenomeno. Per quanto riguarda il parlarne o non parlarne possiamo dire che gli adolescenti ne parlano e quindi il fenomeno esiste come qualcosa di reale nella loro esperienza, quindi noi adulti e noi professionisti non possiamo ignorarlo. Ritengo, però, che il clamore a livello mediatico di questo “gioco al suicidio” possa complicare il quadro di questi comportamenti di emulazione, rendendo difficile il lavoro degli organi preposti. Quindi ne parliamo o no? Beh ritengo che non parlarne voglia dire lasciare nell’ombra uno dei fenomeni che ci fa più paura, cioè il suicidio. Quindi credo che, nonostante metta dei punti interrogativi dovuti al clamore mediatico puntati su questo gioco, dobbiamo trasformare questa opportunità in una possibilità per parlare dell’argomento che ci fa da sempre paura: la morte per suicidio”
- Perché un ragazzo dovrebbe arrivare al suicidio? Perché i giovani dovrebbero seguire tale rituale?
“La totale assenza di visione di possibilità, la carenza di comunicazione e di speranza per il futuro, potrebbe spingere il giovane a contemplare l’idea del suicidio. La morte è utilizzata come strategia di evitamento del dolore e dell’ansia che si presenta ogni giorno in maniera molto forte. Sono ragazzi che si sentono inadeguati, e questa inadeguatezza li sottopone e li espone al rischio di umiliazione, soprusi e violenze che non fanno altro che incrementare il senso di frustrazione, ansia e dolore e difficoltà a vedere una possibile prospettiva futura positiva. Questa totale assenza di speranza di un futuro positivo porta sempre di più all’isolamento dei ragazzi, che spesso sono rinforzati, dai genitori iperprotettivi nei loro comportamenti di isolamento sociale. Il mondo esterno viene spesso visto dalle famiglie come pauroso, pericoloso, ingestibile, dove il ragazzo viene esposto a rischi di utilizzo di droghe, alcool e di altri comportamenti dannosi per la salute del proprio figlio.
Questo isolamento all’interno delle mura della propria camera, a contatto solo con mezzi multimediali, videogiochi e altre tecnologie fa sentire, all’inizio, il genitore sereno. Purtroppo questo, se non si interviene precocemente, incrementa il rischio di conseguenze ben più gravi.
Potrei citare un fenomeno che arriva dal Giappone chiamato Hikikimori, in cui gli adolescenti giapponesi decidono di vivere nelle loro stanze dotate delle ultime tecnologie. Questi ragazzi smettono di studiare in un contesto scolastico “reale”, si rifiutano di uscire e relazionarsi con la società e vivono attraverso il computer e le altre tecnologie. La società giapponese, e quella occidentale si sta avvicinando, ha un modello sempre più competitivo, selettivo e veloce e questi ragazzi non sono preparati ad affrontare le sfide, non sono educati a vivere le frustrazioni in maniera graduale, quindi quando si trovano a doverne affrontare qualcuna precipitano in questo vortice di dolore, delusione e allontanamento, e quindi nel vero e proprio isolamento”
- Ha avuto a che fare con adolescenti che siano entrati in questo “gioco”?
“Non ho mai avuto casi di Blue Whale, ma solo casi di comportamenti autolesionistici”
- Qual è il modo migliore per approcciarsi ad un adolescente che si trova in una fase depressiva, o che sia entrato nel circolo vizioso di questo gioco che porta al suicidio?
“Ritengo che bisogna fare assolutamente attenzione ai segnali di disagio del ragazzo, spesso individuabili in cambiamenti improvvisi dell’umore con sbalzi dalla tristezza alla mancata gestione della rabbia.
L’autolesionismo ha una funzione di tipo sedativo. Il procurarsi ferite ha la conseguenza di abbassare il livello di dolore e lo stato d’animo ansioso. Possiamo spiegarlo in chiave adattiva dicendo che provocarsi delle piccole lesioni provoca un rilascio da parte del sistema nervoso di endorfine, che hanno la funzione di calmare il dolore fisico e placare la mente, innescando un senso di rilassamento, di benessere e, a volte, di euforia. Non dobbiamo farci prendere dal panico affermando che questi gesti autolesionistici siano un sicuro tentativo di suicidio. L’autolesionista cerca di risolvere il suo disagio, di vivere meglio, allontanando ed evitando di stare a contatto con le sensazioni e i pensieri dolorosi e ansiosi che si trova a vivere.
Se si dovessero individuare segnali di disagio psicologico e segni fisici (lesioni ai polsi, braccia, gambe) e la tendenza del ragazzo è quella dell’isolamento sociale, è necessario poterlo inquadrare nel miglior modo possibile rivolgendosi ad uno specialista esperto del fenomeno. Aiutarlo ad incrementare la sua flessibilità psicologica gli permetterà di adattarsi ai diversi contesti ambientali che si troverà a sperimentare”
—————————————————————————————————————————————————————————————
L’ intervista della Dott.ssa Pala, come membro SIPEM SOS Psicologi dell’emergenza Emilia Romagna, su Radio Wellness Salute del 2 Aprile 2020
Intervista Completa Radio Wellness